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venerdì 11 giugno 2010

Terre promesse


Sigmund Freud risponde alla richiesta di un dirigente dell'Agenzia Ebraica Internazionale di  prendere posizione contro l’autorità britannica che aveva cominciato a limitare l’immigrazione di ebrei in quel territorio.

Vienna, 1930
“Non posso fare ciò che ella mi chiede, perché non riesco a superare l’avversione per l’idea d’imporre al pubblico il mio nome. Neanche il momento così critico, mi sembra sufficiente a poterlo fare. Chiunque voglia infiammare le masse di persone, credo lo debba fare con qualcosa di esaltante, mentre la mia opinione moderata sul Sionismo non mi consente di far nulla di simile. Approvo sicuramente i suoi scopi, sono fiero della nostra Università di Gerusalemme, mi fa immenso piacere la prosperità del nostro insediamento. D’altro canto, però, io non penso che la Palestina possa mai diventare uno Stato ebraico, né che il mondo cristiano e il mondo islamico sarebbero disposti a vedere i loro luoghi sacri in mano agli ebrei. A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con meno gravami storici. Sono però consapevole che questa mia opinione razionale non avrebbe mai suscitato l’entusiasmo delle masse né ottenuto l’appoggio finanziario dei ricchi. Devo tristemente riconoscere che l’infondato fanatismo della nostra gente è in parte colpevole di aver suscitato la diffidenza araba. Non provo alcuna simpatia per una religiosità ebraica mal diretta, che trasforma un pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i sentimenti della gente del luogo. Giudichi dunque lei se io, avendo simili opinioni critiche, possa essere la persona giusta per farsi avanti e confortare un Popolo deluso da speranze ingiustificate”.[1]

(dall'Archivio Freud)

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